giovedì 31 agosto 2006

The transporter

















Regia: Cory Yuen.
Interpreti: Jason Statham, Shu Qi, Matt Schulze.
Durata: 93 minuti
Nazionalità: Francia 2002
Genere: Azione




Frank Martin è un ex agente delle forze speciali da tempo trasferitosi in una tranquilla località sulle coste francesi del Mediterraneo. Ufficialmente in pensione, Frank in realtà si è costruito una solida fama di 'trasportatore' occasionale in grado di trasportare ovunque carichi, non importa se umani o meno. Le sue regole di lavoro sono due: onorare il contratto ed ignorare sempre e comunque sia il committente che la natura del trasporto. Il suo nuovo incarico non sembra molto diverso dagli altri. Durante una sosta, tuttavia, Frank cede alla tentazione e, guardando nel 'pacco', scopre che si tratta di una bella donna bendata... Poco alla volta Frank scopre che anche le altre regole sono destinate ad essere infrante.


Roberto Nepoti (La Repubblica)
Frank Martin è un ex agente delle forze speciali da tempo trasferitosi in una tranquilla località sulle coste francesi del Mediterraneo. Ufficialmente in pensione, Frank in realtà si è costruito una solida fama di 'trasportatore' occasionale in grado di trasportare ovunque carichi, non importa se umani o meno. Le sue regole di lavoro sono due: onorare il contratto ed ignorare sempre e comunque sia il committente che la natura del trasporto. Il suo nuovo incarico non sembra molto diverso dagli altri. Durante una sosta, tuttavia, Frank cede alla tentazione e, guardando nel 'pacco', scopre che si tratta di una bella donna bendata... Poco alla volta Frank scopre che anche le altre regole sono destinate ad essere infrante.


Enrico Magrelli (Film TV)
Luc Besson è da preferire come regista che come produttore. I film che produce tradiscono una debolezza da supporter invasato per i surrogati del cinema made in Hong Kong, una deferenza ardita per i fumetti e una testerone-dipendenza alla Jerry Bruckheimer in salsa francese. La sceneggiatura di The Transporter (diretto da Corey Yuen, coreografo, tra l’altro, delle sequenze di arti marziali di Arma letale 4 e di Romeo deve morire), scritta dallo stesso Besson insieme a Robert Mark Kamen, non occupa più di una pagina: Frank, ex agente delle forze speciali, è un infallibile ed esperto autista di carichi delicati e illegali. Nell’ultimo trasporto, trasgredisce le tre regole d’acciaio che si è dato: il pacco da consegnare è una bella donna, e anche per colpa della fanciulla scoppia una vena e propria guerra che mette a soqquadro la costa francese del Mediterraneo. La storia non sta in piedi, ma in questo tipo di film si potrebbe anche sorvolare; le sequenze d’azione (tranne quella sull’olio lubrificante) sono coreografate e girate male e montate peggio; il protagonista (Jason Statham) è un ottimo caratterista, ma promosso al ruolo principale autocertifica difetti innegabili e palesi. Tra gli altri limiti, sembra il fratello più brutto di Bruce Willis.


Ed ora tocca a me: A me il film è piaciuto, assurde 2 cose: il fatto che abbia delle gambe snodabili e il fatto che si metta all'inseguimento dei rapitori con una Renault 4 bianca!
Comunque a parte ciò, molti effetti speciali, e Jason Statham molto simile a Bruce Willis, è perfetto nel ricoprire il ruolo per questo genere di film.


Alla prossima... ;)

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mercoledì 30 agosto 2006

Fuga da Alcatraz

















Titolo Originale: ESCAPE FROM ALCATRAZ
Regia: Don Siegel
Interpreti: Clint Eastwood, Patrick McGoohan, Roberts Blossom, Jack Thibeau, Fred Ward, Paul Benjamin, Larry Hankin
Durata: h 1.52
Nazionalità: USA 1979
Genere: drammatico


Frank Morris, reo di molte fughe dalle carceri statunitensi, viene trasferito al penitenziario di Alcatraz, denominato "The Rock" e famoso per le condizioni che vi rendevano impossibile le evasioni. Benchè di carattere chiuso, Morris fa alcune amicizie: Doc, il pittore timido che si taglia le dita di una mano quando gli tolgono il permesso di pitturare; Litmus, un italiano che si fa chiamare "Al Capone"; il negro English che apprezza il nuovo arrivato e lo protegge, Clarley, l'indeciso che non giungerà all'appuntamento della fuga. Frank, inoltre, ben presto dovrà rilevare la durezza del carcere speciale e la disumanità del suo direttore. Quando al penitenziario pervengono i fratelli Clearence e John Anglin, già conosciuti altrove, Morris si decide e propone un piano di fuga che viene minuziosamente realizzato. Quando la fuga dei tre viene scoperta, scatta il dispositivo di ricerca che non approda a nulla. Il direttore, che preferisce sostenere l'annegamento nella baia dei fuggitivi, viene richiamato a Washington e la prigione, smantellata, diviene un curioso centro di attrazione turistica.

Francesco Mininni(Magazine italiano tv)
L'ultima collaborazione tra Don Siegel e Clint Eastwood. Ambienti curati, personaggi ben definiti, tensione crescente e una buona dose di ironia cui anche Eastwood si adegua volentieri.

Laura e Morando Morandini (Telesette)
Siegel riscatta gli stereotipi prosciugandoli con lo stile. Fa economia di tutto, perfino di violenza, con una tensione che arriva alla suspence ma senza cercarne gli effetti. E' un film da scuola di cinema. Eastwood in gran forma.

Angelo Conforti (Cineforum)
Siegel ripercorre i passaggi obbligati del filone carcerario, con cui si era già confrontato 25 anni prima. A suo tempo, Rivolta al blocco 11 fu certamente un film con un suo spessore anche di denuncia sociale, con un riferimento preciso alla realtà extra-filmica (Siegel metteva bene in luce il suo passato di documentarista) e fu per certi aspetti una riflessione profonda sulla violenza legalizzata dell'istituzione. Fuga da Alcatraz non tematizza esplicitamente la disumanità dell'istituzione totale, dandola per scontata, per acquisita. Nonostante ciò, il film allinea il repertorio completo dei sottotemi di genere (evidenziati da situazioni e personaggi estremamente codificati): lo sradicamento dagli affetti famigliari (visita della moglie a Puzzo e della figlia a English), l'amore per gli animali (Tornasole ed il suo topolino), la passione per i fiori (i crisantemi coltivati da Tornasole e da Doc), la dignità e la libertà non sopite dietro le sbarre (la serenità di Doc e la sua dedizione alla pittura), i conflitti razziali (il settore di cortile riservato ai neri), le gerarchie «sociali» (il capo carismatico English), il sadismo del direttore, la stupida brutalità di certi secordini, l'omosessualità più o meno latente. Ma Siegel impone a questi materiali, che sembrano prelevati direttamente dalla tradizione, una precisa funzionalità drammaturgica. Non vi sono tesi precostituite da dimostrare (chi si ricorda L'uomo di Alcatraz - The bird man of Alcatraz, '62 - di John Frankenheimer?), non conta l'analisi interna di un «universo concentrazionario» (cfr. l'interessante Esecuzione al braccio 3 - Short eyes, '77 - di Robert Young), ognuno degli elementi elencati, calibrato con secchezza ed efficacia, viene integrato e superato all'interno di una compatta progressione narrativa, che ha il suo culmine drammatico nella preparazione e nell'esecuzione della fuga. Fin dalla sequenza su cui scorrono i titoli di testa, un avviso mette in guardia chiunque dall'aiutare i detenuti ad evadere; e ancora: il direttore elenca con dovizia di particolari a Morris, detenuto particolarmente propenso all'evasione, le modalità di fallimento dei diversi tentativi effettuati ad Alcatraz (ed è proprio mentre il direttore parla che Frank gli sottrae il tagliaunghie, strumento che gli sarà essenziale in seguito); English mette al corrente Frank di tutte le difficoltà che si oppongono alla fuga (sbarre d'acciaio entro cui sono fuse altre sei sbarre, una guardia ogni tre detenuti, i controlli continui ed ossessivi, le gelide acque della baia, attraversate da correnti fortissime); Tornasole gli suggerisce, scherzando, la via del condotto di ventilazione; infine, l'insetto che entra ed esce dalla griglia del condotto stesso, dà l'avvio alla fase culminante del film.La vicenda ha parecchi punti in comune con quella di Un condannato a morte è fuggito (Un condamné a mort s' est echappé, '56) di Robert Bresson. Entrambi i film concentrano l'attenzione sul lavoro paziente ed ingegnoso del detenuto in cella (anche Fontaine si serve di un cucchiaio) utilizzando strumenti di fortuna. E se Bresson costruisce un suo linguaggio rigoroso ed astratto, fatto di piccoli gesti, di suoni e rumori lontani, di sguardi intensi e di lunghi monologhi, Siegel, pur lavorando sul versante hollywoodiano, organizza perfettamente i materiali figurativi (grazie all'apporto di Bruce Surtees) e ritmici, creando una scansione quasi-astratta di entrate e uscite, luci ed ombre, tensioni e ironia. Ma quella di Fontaine è un'avventura interiore, pregnante di significato, di un personaggio connotato positivamente. Morris appartiene invece a quella linea di «eroi» siegeliani che percorrono itinerari di sparizione, di occultamento, come Varrick, o il maggiore Grigori Borzov di Telefon.Di lui sappiamo poco: non ha famiglia, né parenti, ha avuto un'infanzia breve (così dirà a Puzzo), parla pochissimo, è un rapinatore forse neppur troppo abile (non è certamente un grande criminale), ha un ingegno notevole e parecchio autocontrollo, ma anche molta fortuna e, alla fine, scompare senza lasciar traccia. Siegel sa, da tempo, che gli eroi della tradizione sono morti (ed ha messo in scena la morte di un'epoca «mitica» del cinema nello splendido Il pistolero); la sua visione lucidamente pessimistica attraversata da un'amara ironia ci restituisce un mondo in cui non vi sono più certezze né utopie e la scissione tra professionalità ed eticità è ormai definitiva. Al contrario dei personaggi di Peckinpah, eroi al crepuscolo, travolti da una riorganizzazione sociale che ha dimenticato gli antichi valori, «perdenti» destinati ad emergere anche nella sconfitta, quelli di Siegel non hanno nulla da perdere, lottano per se stessi, per la sopravvivenza, destinati a scomparire, a nascondersi, rientrare nell'anonimato, mascherarsi. AI contrario dei grigi antieroi di Altman, protagonisti di un'epopea letta «a rovescio» (si pensi soprattutto a McCabe o a Bowie Bowers), Tarrant e Borzov, Varrick e Morris sono abili e possono anche riuscire, ma la loro abilità ed il loro successo non sono segni né conseguenze di una superiorità morale; essi vivono di vita puramente cinematografica, «maschere» destinate a svanire con la fine del film. La sequenza in cui Morris esce lungo il condotto di ventilazione e la guardia passa e ripassa nel corridoio mette bene in evidenza l'importanza della maschera, dello sdoppiamento, della «recitazione» (nella seconda parte della sequenza, quando il «mastino» lascia cadere lo sfollagente, lo spettatore «crede» che nel letto ci sia ancora la testa finta).Non da questa sequenza soltanto appare chiaramente che Siegel fa del montaggio (pratica significante con cui ha notevole dimestichezza) il principio costruttivo del suo cinema; con le sole immagini sa creare la tensione, suscitare un'emozione, sintetizzare una situazione, tratteggiare un personaggio, riducendo al minimo i dialoghi e rinunciando totalmente allo psicologismo.



Ed ora tocca a me: Che bello questo film, suspence a go-go, "Clint" è bravissimo, e sinceramente non l'ho sentito come film degli anni eigthies, insomma per me si merita un bell'8.
I personaggi poi con i quali si confronta Frank Morris sono di ogni genere.
Sicuramente consiglio :)

Alla prossima... ;)

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sabato 26 agosto 2006

Bitonto 2 Agosto 2006








Concerto stupendo! (Cd anche!)
Alla prossima... ;)

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