venerdì 1 settembre 2006

Mio Cognato
















Regia: Alessandro Piva
Interpreti: Sergio Rubini, Luigi Lo Cascio, Carolina Felline, Alessandra Sarno, Mariangela Arcieri
Durata: 90 minuti
Nazionalità: Italia 2003
Genere: Commedia nera


Vito ha sposato Anna, sorella di Toni, un cognato che proprio non vuol farsi venire in simpatia, strafottente e spensierato com'è ai suoi occhi. Alla cena del battesimo del figlio di Toni, a Vito viene rubata la macchina appena ritirata in concessionaria. La festa è sfumata e Toni, solo per dovere familiare, si convince ad accompagnare Vito nella ricerca dell'automobile. Inizia per i due "parenti acquisiti" un viaggio allucinante per i quartieri di una Bari di cui Vito nemmeno sospettava l'esistenza, a bordo della fiammante "macchinona" di Toni, che al contrario del cognato sembra muoversi con una certa disinvoltura tra i codici non scritti della malavita locale. I due avranno modo di conoscersi meglio. Alessandro Piva alla second aprova dopo l'inatteso successo di "LaCapaGira" non abbandona i luoghi che conosce meglio. Torna così a parlarci della Puglia con un film che si potrebbe definire più 'maturo' e, forse proprio per questo, meno 'fresco'. Gli omaggi al grande cinema sono evidenti. In modo particolare a due film: "Il sorpasso" per il rapporto che si instaura tra i due protagonisti e "Fuori orario" per la scoperta di una dimensione nascosta e notturna della città. Piva ha però saputo scegliere i suoi attori e Rubini e Lo Cascio lo assecondano con grande abilità scavando, ognuno a suo modo, dentro i personaggi.



Maurizio Porro (Il Corriere della Sera)
Continua la nouvelle vague del cinema barese. Dopo il miracoloso Miracolo ecco l'opera seconda di Alessandro Piva, regista della Capagira e ora di Mio cognato, una acida commedia notturna, violentemente radicata nel territorio e nel dialetto che, per la struttura a due caratteri contrapposti, ricorda Il sorpasso, anche se l'autore cita Ladri di biciclette. Perché si ruba un'auto, nel giorno di un battesimo, e la vittima è un mite travet che chiede aiuto al cognato esuberante, truffaldino, cialtrone, legato ai loschi trafficanti notturni di Bari: Sandokan, Saddam, Marlonbrando. Sarà un viaggio di iniziazione nella peggio gioventù in cui i due da nemici diventano amici, dopo esser passati dal pronto soccorso. L'apparizione profetica dei limoni annuncia che qualcuno la pagherà. E cara. Piva ha un'estrema facilità narrativa e si immette, con un road movie decappottabile, nel solco della commedia all'italiana, dove la città-società con le sue ferite aperte nell'amoralità con plusvalore è importante. Soprattutto ai fini della caratterizzazione psicologica di due classici prototipi che Sergio Rubini, quasi barese, e Luigi Lo Cascio, siciliano, sposano con magistrale vitalità, simpatia, sintonia, tanto da formare una strana, inedita, vincente coppia in cui è utile riconoscersi. Costellato di un mosaico di impressioni e sensazioni, il racconto frena e poi vira verso un finale tragico forse evitabile, ma in cui Piva dimostra che sorride ma non scherza: il pericolo c'è.


Alessandra Levantesi (La Stampa)
Vito (Luigi Lo Cascio), timido e modesto impiegatuccio di Bari, ha sposato la sorella di Toni (Sergio Rubini), assicuratore imbroglione e volgare che in famiglia si comporta da capo decidendo ogni cosa. Vito non sopporta l'esuberanza comandona di Toni e Toni, che traffica con la malavita e ne condivide i maschilisti parametri di giudizio, considera il mite Vito un mezzo uomo. Diversi come il giorno e la notte i due sembrerebbero fatti per non incontrarsi mai, ma il destino ha stabilito altrimenti: i parenti purtroppo non si scelgono, capitano. Con Mio cognato, in dialetto pugliese come la sua opera prima La capagira, Alessandro Piva firma un notevole secondo film (prodotto dalla Rai) su cui è riuscito a incidere una salda cifra autoriale, nonostante il budget ben più consistente rispetto alle poche centinaia di milioni del precedente. In molti all’anteprima al festival di Locarno, hanno rilevato che il rapporto Rubini/Lo Cascio pare ritagliato su quello di Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant in Il sorpasso (1962). Anche qui abbiamo da una parte un trascinatore estroverso e cinico, dall'altra un giovane passivo e malinconico che subisce il pericoloso vitalismo del compagno restandone fatalmente travolto. Però contesto, storia e motivazioni sono differenti. Tutto parte dal furto dell'utilitaria nuova di Vito, che Toni decide di ritrovare. Ecco dunque i cognati addentrarsi nei luoghi più reconditi della città a bordo della fiammeggiante decapottabile di Toni. Risulta presto chiaro che per uno sgarro a un certo boss, costui è caduto in disgrazia e che il furto rappresenta un avvertimento. Sbalordito di fronte allo sconosciuto panorama che si schiude nella notte ai suoi occhi di piccolo borghese, Vito va dietro a Toni in una sorta di affascinato stupore. Piva, in un ben calibrato alternarsi di neri e tinte forti, sa conferire un'allarmata irrealtà al suo affresco di sottobosco barese. In questo paesaggio stralunato, abitato da guaglioni di malavita impersonati in chiave grottesca da locali (attori e no), spicca soprattutto la singolare coppia Rubini/Lo Cascio, che funziona a meraviglia e rappresenta un indiscutibile punto di forza del film.


Ed ora tocca a me: A parte l'aver scoperto già prima di questo film che Piva oltre ad essere un bravo regista che con pochi soldi riesce a farti un film quale "La capagira" (1999), sà anche essere un bravissimo fotografo!
Per quanto riguarda il film a me è piaciuto e molto, buffi i soprannomi, vedi Saddam, U' Professor, Marlon Brando, Sandokan ecc, ma stupendo vedere "l'astronave" accesa di notte, quanti ricordi!


Alla prossima... ;)

Etichette: