martedì 31 ottobre 2006

Qui Milano:Buon compleanno Rembrandt


8 Novembre 2006 - 9 Novembre 2006

“Quattrocento anni e non sentirli”, si direbbe oggi.

Tanti infatti ne compirebbe quest’anno Rembrandt Harmensz van Rijn (nato a Leida nel 1606) e la fama del suo genio non accenna a diminuire, anzi le celebrazioni per questo compleanno si moltiplicano attraverso mostre e pubblicazioni in tutto il mondo.
Rembrandt realizzò circa 370 acquaforti, la maggior parte delle quali incise direttamente sulla lastra di rame senza l’ausilio di un disegno preliminare.
La mostra di incisioni antiche e moderne che la Galleria Valeria Bella espone dall’8 novembre al 9 dicembre con un ricco catalogo, presenta sei acquaforti del maestro olandese, tutte di grande rarità (se ne conoscono pochi esemplari al mondo) e di alta qualità, come difficilmente oggi è dato vedere.

Esse sono:

Il paesano con le mani dietro la schiena
Il mendicante con il cappello alto
La grande sposa ebrea
Il paesaggio con obelisco
San Gerolamo nello studio
Studi di teste

Sempre in ambito di rarità la galleria presenta fra tante interessanti stampe, due bulini del ‘400, una Santa Agnese ad opera di Israel van Meckenem, La Morte della Vergine di Martin Schongauer, e un bulino del ‘500, Il Rinoceronte di Enea Vico, curiosa e anch’essa rarissima stampa raffigurante “il primo esemplare di questa specie ad essere visto in Europa dall’epoca romana”.
Per i moderni molto ben rappresentato il “versante” italiano con Boccioni, Campigli, Fattori, Marini, e Morandi, e quello d’oltralpe e più con Heckel, Kollwitz, Müller, Munch e Nolde.


Quante mostre e quanta tristezza :(


Alla prossima... ;)

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Qui Bologna:mutevoli danze di segni incisi


31 ottobre 2006 - 29 gennaio 2007
Nel 2006 in occasione delle celebrazioni per i 400 anni dalla nascita di Rembrandt anche il Museo Morandi desidera rendere omaggio al grande artista olandese, considerando il costante interessamento che Giorgio Morandi rivolgeva soprattutto alla sua arte incisoria.
Il pittore bolognese possedeva infatti cinque incisioni all'acquaforte di Rembrandt, di cui quattro oggi conservate presso il museo; inoltre si tenne sempre aggiornato sulle pubblicazioni relative all’argomento, fino a studiare attentamente, sebbene fosse scritta in inglese, la monografia di Ludwig Münz sulle acqueforti di Rembrandt uscita nel 1952.
L'esposizione è curata da Marzia Faietti, direttrice del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e nasce dalla collaborazione con l’istituto fiorentino dove, oltre alle note acqueforti di Rembrandt, sono conservate molte incisioni di Giorgio Morandi donate dall'ultima sorella dell'artista.
Per Morandi l'attività incisoria, di cui fu docente presso l'Accademia di Bologna dal 1930 al 1956, non fu certo una pratica marginale o episodica rispetto all'opera di pittura, al pari di Rembrandt d'altronde, che incise soprattutto fra il 1626 e il 1665.
In un'intervista Morandi dichiarò di preferire, tra gli incisori, quelli "che sono anche pittori […] specialmente Rembrandt e Goya".
Non pare casuale dunque che Morandi fosse dedito a una tecnica "antica" come quella dell'acquaforte e che come Rembrandt utilizzasse un torchio di legno di quercia, oggi conservato in una sala del museo.
Per queste ragioni la selettiva e ragionata rassegna ospitata nella Sala Ottagonale del Museo Morandi intende approfondire attraverso analogie visive la relazione tra le opere dei due incisori, anche a conferma e verifica degli studi compiuti da Lamberto Vitali in poi.
Nelle prime prove incisorie di Morandi, iniziate intorno agli anni Venti, i riferimenti tecnico-formali all'opera del grande maestro olandese sono quanto mai espliciti, anche se in un'interpretazione molto libera e originale.
I due artisti appartengono, infatti, a due mondi e a due sensibilità molto diverse, ma li accomuna la flessibilità del segno e la variazione continua del tracciato.
Il percorso espositivo mostrerà 33 incisioni di Rembrandt e Morandi a confronto rivelando affinità tecniche molto precise pur negli accostamenti iconografici molto lontani.
L'attenzione di Morandi per Rembrandt è testimoniata inoltre dalla presenza nella sua biblioteca di alcuni volumi sull'artista olandese che saranno esposti in mostra.


Ma mostre qui quando ne vedrò?Ancora più triste...
Pedro ovviamente consiglio :)

Alla prossima... ;)

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sabato 28 ottobre 2006

Brescia. Turner e gli impressionisti


Brescia.Composta di 285 opere e divisa in 5 ampie sezioni, la mostra, a cura di Marco Goldin, per la prima volta in Italia tratteggia l’importante vicenda della nascita del paesaggio impressionista. Facendolo però da un punto di vista molto più dilatato e così storicamente fondato. Infatti, la prima sezione indicherà, attraverso l’opera di Constable e Turner, le maggiori preesistenze in Europa, al di fuori della Francia, nei termini della più elevata qualità quanto a una nuova interpretazione del paesaggio. Non è inutile ricordare, tra l’altro, come Constable e Turner siano stati fondamentali, il primo in modo particolare per gli artisti di Barbizon e il secondo specialmente per Monet. Questo capitolo introduttivo sarà già l’affondo dentro una natura descritta e interpretata in modo assai diverso rispetto al XVIII secolo.
Con Constable seguendo le vie di un realismo che si tramuta in lume nuovo sulle cose, e con Turner lungo i sentieri di quella dissoluzione della natura nella luce e nel colore che conteranno così tanto appunto per Claude Monet.
La seconda sezione, intitolata Dall’Accademia ai primi sguardi sulla natura, intende illustrare l’evoluzione del paesaggio da fondale scenografico, luogo in cui accadono le storie della Mitologia e delle Sacre scritture, a genere in cui la natura, pur non assumendo mai quella rilevanza che, negli stessi anni, le era propria con l’opera di Constable e Turner, viene consapevolmente studiata dal vero da pittori come Granet, Constantin, Valenciennes e, naturalmente, Corot. Artisti tutti che, soprattutto nei loro soggiorni italiani, sembrano decisamente capovolgere il gusto della ricostruzione storica in favore di uno sguardo più limpido sulla natura, finalmente accarezzata e amata, percorsa da uno sguardo mai vuoto e inutile. Questa disposizione d’amore sarà il punto di partenza anche per i giovani pittori impressionisti quando, qualche decennio più tardi, si affacceranno sulla scena parigina.
Poi sarà l’impressionismo a guadagnare gradualmente il centro della scena. E, naturalmente, volendo spiegare cosa abbia rappresentato, per quel gruppo straordinario di pittori, il paesaggio, bisognerà partire da Barbizon. Nella terza sezione infatti, intitolata Da Barbizon al primo paesaggio impressionista, si avrà modo di misurare quale fu la vera, incredibile novità introdotta da quei pittori, i cui esordi sono da ricondurre ai primissimi anni trenta, riconosciuti come gli artefici di una rottura che segna la fine dell’ascendente teorico ed estetico del paesaggio classico. La natura non è più quella di un’Italia pittoresca e idealizzata, ma quella di una Francia scoperta gradualmente. Si inizia con l’esplorazione delle foreste attorno a Parigi, come Compiègne, Montmorency e Louveciennes. Ma il luogo che, più di altri, rinvigorì il paesaggio contemporaneo francese tra gli anni trenta e gli anni cinquanta, fu la foresta di Fontainebleau con le sue frazioni, Barbizon, Marlotte e Chailly. Corot, Français e Huet furono tra i primi a frequentare questi luoghi mitici, e vennero poi seguiti da Diaz de la Peña, Rousseau, Daubigny e Courbet, solo per dire degli artisti più celebri che hanno costituito un fondamentale ponte tra la pittura accademica di paesaggio in Francia e gli impressionisti. Ai loro esordi infatti Monet, Bazille, Sisley e Pissarro si ritrovano negli stessi anni a dipingere in questo luogo mitico, rielaborando la lezione dei maestri più anziani e sviluppando in particolare un’attenzione affatto nuova per il dato atmosferico e l’importanza della luce.
Intitolata Paesaggi dell’impressionismo, la quarta sezione abbraccia oltre 150 opere, dunque il cuore vero di tutta la mostra. Non più solo il paesaggio, ma i paesaggi. Un plurale che si rende necessario per raccontare la ricchezza e diversità di visione che a partire dai primi anni settanta, e fino agli albori del nuovo secolo, tanti pittori della generazione impressionista hanno saputo tradurre nelle loro opere. In quasi quarant’anni di
pittura, non solo matura e giunge a compimento il linguaggio impressionista più universalmente noto, ma di lì si evolvono in modo assolutamente perentorio singole figure di artisti che apportano ulteriori e più fecondi elementi di novità. Se al primo momento dunque possiamo associare i nomi, tra gli altri, di Sisley, Pissarro, Guillaumin e Caillebotte, i veri giganti di questa irripetibile stagione sono Manet prima di tutti, e poi Gauguin, Monet, van Gogh e Cézanne. Artisti il cui ruolo dominante è testimoniato in mostra da ampi gruppi di opere di qualità assoluta.
L’impressionismo non nasce con un manifesto programmatico stilato in un momento preciso da un maître à penser. E la prima esposizione, presso lo studio fotografico di Nadar nell’aprile del 1874, è solo il battesimo ufficiale di un movimento. I cui protagonisti in realtà si frequentavano già da diversi anni, stimolandosi a vicenda nella ricerca di un linguaggio diverso da quello proposto nei Salon, di un modo nuovo di guardare alla realtà e di farne esperienza. Questa sezione vuole dunque restituire il senso di tale confronto continuo che ha animato le esistenze degli impressionisti, del loro cimentarsi molto spesso su soggetti simili, nello stesso tempo o a distanza di anni, in perfetta solitudine o l’uno a fianco dell’altro. E sarà dunque anche inevitabile, e affascinante, verificare quanto l’apporto di un pittore sia leggibile nell’opera di un altro. Quanto cioè l’impressionismo sia sostanzialmente un riandare continuo, ciascuno con la propria sensibilità, alla natura, tutta, che ci circonda, per coglierne fin dove possibile la fuggevole bellezza. O per trasferirvi, è il caso emblematico di Monet, nel periodo ultimo di Giverny, il senso lacerato di una visione, e, per van Gogh, la corrispondenza con il suo più intimo sentire.
In una succedersi affascinante le opere saranno disposte per nuclei tematici. Dalle vedute di Parigi realizzate da molti tra gli impressionisti, Caillebotte in primis, al gruppo fondamentale centrato sulla campagna francese, dove tanti tra questi artisti danno il meglio di loro stessi. Quindi il tema dell’acqua, ovvero i fiumi di Francia, dalla Senna all’Oise, e poi i quadri dedicati al mare, da quelli celeberrimi di Manet, e dai molti che Monet vi dedicò soprattutto durante i soggiorni importanti in Normandia o in Costa Azzurra, fino all’esaltazione dell’accecante luce mediterranea nei quadri di Signac.
Sempre restando al tema delle città, un ruolo centrale, anche per i quadri dipinti fuori Parigi, l’avrà ancora Monet, con le immagini di Londra, di Amsterdam e di Venezia, e ancora della cattedrale di Rouen che vivrà in un magnifico raffronto con una superba versione della chiesa di Moret dipinta da Sisley. Questo capitolo della mostra includerà anche i viaggi che gli impressionisti fecero. Allora le visioni olandesi e inglesi di Monet si alterneranno a quelle provenzali di Cézanne, sublimi lungo tutto il corso della sua vita. Senza dimenticare la Bretagna, primo eden abitato da Gauguin e Bernard, e il mitico Sud cercato e dipinto da Van Gogh dopo la scoperta della pittura impressionista fatta a Parigi.
Talvolta gli impressionisti non dipingono neppure nella chiarità di un campo o sulla riva del fiume, ma si fermano alla brevità del giardino di casa. A Il giardino è intitolata infatti la quinta e ultima sezione dove sono presentati molti dei capolavori più alti di tutta la mostra. A cominciare per esempio da Un angolo del giardino a Rueil dipinto da Manet nel 1882, qualche mese prima della sua morte. La necessità che Manet conserva fino all’ultimo di dipingere en plein air è uno dei tratti comuni che lo legano ancora all’esperienza impressionista. Qui però la dimensione di dialogo intimo che egli rende avvertibile nella sua opera è un’assoluta novità. Quando infatti gli impressionisti dipingevano un giardino era per ambientarvi una scena di famiglia o per esaltare la propria abilità nel rendere i giochi di chiaroscuro che la luce creava con la vegetazione. È quanto si può vedere nel Parco a Yerres dipinto da Caillebotte. A una visione più aperta e meno scintillante di riverberi luminosi, si rifà Pissarro che a distanza di vent’anni l’una dall’altra dipinge due opere, gli Orti a L’Hermitage, Pontoise del 1874 e gli Alberi in fiore. La casa dell’artista a Éragny, in cui lo spazio del giardino è riletto come luogo di vita, dove l’uomo appare con le fatiche del lavoro quotidiano.
Per molti degli impressionisti il giardino continuerà a esser letto come il luogo della fioritura, della vita felice che nasce. Questo tipo di soggetto non poteva che affascinare van Gogh al suo arrivo a Arles, nella primavera del 1888. Il Frutteto stretto dai cipressi è infatti il tentativo felicemente riuscito di fermare sulla tela la bellezza effimera e gioiosa che la natura stava regalando ai suoi occhi. E anche se sono riconoscibili dei debiti nei confronti della cultura figurativa giapponese, è altrettanto evidente che, proprio in queste opere, van Gogh torna quasi istintivamente a riallacciarsi al più puro stile impressionista. Con la formulazione commovente di una pittura della luce e dello spazio che è tra gli esiti di più intima poesia leggibili nella sua opera.
Il tema del giardino è però forse quello che per eccellenza va ricondotto all’opera di Monet e al tempo ultimo della sua vita a Giverny. La mostra infatti si conclude, lontanissima da dove era partita, già ben dentro il XX secolo. Eppure, d’altro canto, vicina a certi quadri di Turner che, ancor prima della metà del secolo precedente, erano già dispersione dentro la tempesta del colore. Fosse essa di luce o neve.
Alcune visioni del giardino, dei glicini e delle ninfee di Monet, esposte nell’ultima sala della mostra, sigillano, nella decantazione della materia dipinta, un percorso fatto ormai di fiorite sottrazioni di luce. La natura è diventata il respiro del cosmo, la voce di un infinito nata dallo stagno incantato di Giverny.

Ed io sono ancora qui?Che tristezza...!!!

Alla prossima... ;)

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I 5 colori...




...di una giornata da ricordare

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venerdì 27 ottobre 2006

Dice proprio tutto...




Periodaccio...

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lunedì 23 ottobre 2006

Wrong Turn (su consiglio)


















Titolo originale: Wrong Turn
Nazione: U.S.A., Germania
Anno: 2003
Genere: Horror
Durata: 84'
Regia: Rob Schmidt
Sito ufficiale:www.wrongturnmovie.com
Cast: Desmond Harrington, Eliza Dushku, Emmanuelle Chriqui, Jeremy Sisto
Produzione: Brian J. Gilbert, Stan Winston
Distribuzione: Eagle Pictures


Trama: Un gruppo di giovani rimane intrappolato in una spettrale foresta del West Virginia. Ben presto, i ragazzi scopriranno, di essere diventati preda di leggendari cannibali dal volto sfigurato.Quelli di voi che avranno letto solo la trama o a malapena visto il trailer, di questo horror estivo, penseranno che Wrong Turn sia un filmetto come tanti altri. Al contrario, questa pellicola sorprende per la sua tecnica e per il suo stile.Abilmente diretto e particolarmente accurato nei torbidi dettagli scenografici, il film di Rob Schmidt vanta anche un buon cast, in cui spicca la bella e brava Eliza Dushku.

Lietta Tornabuoni (La Stampa)
Horror a Ferragosto: sole e sangue si mescolano nei molti film dell'orrore che popolano la stagione estiva. In Wrong Turn di Rob Schmidt, una ragazza e un ragazzo scalatori che s'arrampicano verso una cima vengono orrendamente uccisi: si parla di certi Mountain Men deformi e intelligentissimi, cannibali, già responsabili di altri delitti e sparizioni. Un gruppo di ragazzi festosi viene bloccato da un incidente su una strada di montagna, scende dalle automobili, cerca aiuto a piedi: e incontra l'inferno. I loro cacciatori, i Mountain Men, selvatici uomini dei boschi, intorno e dentro casa tengono relitti di auto chissà quando sequestrate e abbandonate, conservano in grossi vasi di vetro occhi estirpati e dentiere sottratte, fanno a pezzi le vittime con la motosega, usano pure archi e freccce (un poliziotto viene ucciso con una freccia scoccata in un occhio). L'inseguimento riserva imprevisti atroci. La struttura narrativa è identica a quella del classico «Non aprite quella porta» di Tobe Hooper (1974): càpita a molti horror americani. La pseudocopia è girata correttamente, molto impressionante, ed è il meglio che si possa vedere tra i nuovi film in uscita nella settimana di Ferragosto.

Pier Maria Bocchi (Film TV)
Rob Schmidt è quello di Delitto + castigo a Suburbia. Non possiede, dunque, una bella fama. Con Wrong Turn ha voluto cambiare registro, e tuffarsi nello slasher/horror tipo anni ‘70 e primi ‘80, quello delle comitive giovani che si recano in mezzo alla natura per trovare la morte. Meno male che ha lasciato perdere le menate morbo-adolescenziali del precedente film. Perché qui non perde tempo, e gira un veloce, ruvido e sanguinoso macella ragazzi” che funziona. In questa storia di alcuni incauti che prendono una scorciatoia nella foresta, e vengono decimati da tre mostruosi inbreeders (parti di consanguinei), non mancano incongruenze e facilonerie di genere. Ma il ritmo è spedito, il gore cospicuo (almeno un paio di omicidr notevoli: quello sull’albero e quello dello sceriffo) e la furia bella sporca. Azzeccata e originale l’idea della fuga tra i rami. Ai trucchi, ottimi, c’è Stan Winston. Senza scomodare John Boorman (per inciso, scomodato dai dialoghi) o Walter Hill, Wrong Turn si inserisce comodo comodo nel manipolo degli horror-zotici alla Humongous, The Final Terror, Geek!, Just Before Dawn (gli appassionati ricorderanno di certo). Fa piacere. La sequen za della cascata sembra un omaggio a L’ultimo dei Mohicani di Mann. Citazione consapevoleo bizzarra coincidenza?

Ed ora tocca a me: Di sicuro un horror piacevole, non da buttare, comunque, una cosa positiva: l'atmosfera. Grazie all'ambiente, ai colori e all'aria malsana si riesce ad ottenere quel minimo di sensazione di malessere che ci si aspetta da un film horroreggiante :)
Ringrazio chi me l'ha consigliato.

Alla prossima... ;)

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domenica 22 ottobre 2006

Red Dragon



















Regia: Brett Ratner
Cast: Anthony Hopkins, Edward Norton, Ralph Fiennes, Emily Watson, Harvey Keitel, Mary Louise Parker, Philip Seymour Hoffman.
Genere Thriller
Durata: 110 minuti.
Produzione: USA
Anno d'uscita:2002

Trama: Tratto dal primo romanzo della trilogia di Thomas Harris dedicata al personaggio di Hannibal "The Cannibal" Lecter, Red Dragon è l'antecedente de Il silenzio degli innocenti: Lecter, aiuta, come consulente, l'agente dell'FBI Will Graham, che tempo prima l'ha arrestato. Questi è costretto suo malgrado a chiedere l'aiuto di Lecter per riuscire a catturare un pericoloso serial killer che tenta di emulare proprio le efferatezze commesse a suo tempo dallo psichiatra. L'assassino massacra un'intera famiglia ogni notte di luna piena: a Graham restano tre settimane per sventare il prossimo delitto. Hannibal ha ancora una volta il volto di Anthony Hopkins, che per questo ruolo ha già vinto un'Oscar: per interpretare Red Dragon, però, l'attore è stato ringiovanito di quasi 20 anni, per rendere la storia coerente con la cronologia del romanzo. Il romanzo aveva già avuto una trasposizione cinematografica negli anni '80 con Manunter - frammenti di un omicidio di Michael Mann.

Valerio Guslandi (Ciak)
È stato l’attesissimo ritorno sul grande schermo di Hannibal Lecter, il «più spaventoso criminale della storia di Hollywood», secondo un sondaggio tra i clienti americani della catena Blockbuster. Ma, allo stesso tempo, è stato un prequel, perché racconta la genesi di questo personaggio interpretato da Anthony Hopkins (Casa Howard, Dracula di Bram Stoker, La macchia umana). E anche un remake, perché dal bestseller e primo romanzo dello scrittore americano Thomas Harris (autore del Silenzio degli innocenti, Hannibal e Black sunday, tutti editi da Mondadori) era già stato tratto, nel 1986, Manhunter - frammenti di un omicidio, per la regia di Michael Mann.Riprendere in mano il primo capitolo della storia dei feroce psichiatra cannibale è stato una scelta coraggiosa ma vincente. E Red Dragon, prossima anteprima video e dvd di Panorama, diretto da Brett Rather (Rush Hours 1 e 2, The family man) e prodotto da Dino De Laurentiis, si è rivelato un grande successo al botteghino: negli Stati Uniti ha incassato 50 milioni di dollari in due weekend. Mento della forza del thriller con la sua spietata caccia all’uomo che fonde incubo e realtà, ma soprattutto dei cast strepitoso.Accanto all’ormai collaudato Hopkins, alias dottor Lecter (ringiovanito di 20 anni per l’occasione), alcune fra le maggiori stelle hollywoodiane, come il magnifico Edward Norton (Schegge di paura, La 25° ora), nei panni dei poliziotto Will Graham, Ralph Fiennes (Il paziente inglese, Schindler’s List), diabolico serial killer ossessionato dal «dragone rosso» celebrato dal poeta William Blake, Harvey Keitel (Lezioni di piano, Pulp Fiction), il capo dell’Fbi; ed Emily Watson (Le onde del Destino, Le ceneri di Angela), dolce e indifesa nel ruolo della ragazza cieca innamorata dell’assassino.Altri due buoni motivi per non lasciarsi scappare il film: la fotografia è del nostro Dante Spinotti, la sceneggiatura di Ted Tally, premio Oscar per Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme. Una garanzia.

Ed ora tocca a me:Magari :) non sarà come Il silenzio degli innocenti, però ci si avvicina, e anche gli interpreti non sono male.
Buona tensione che ti dà costanza durante il film,ed anche un buon ritmo.


Alla prossima... ;)

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sabato 21 ottobre 2006

Al calare delle tenebre
















Regia: John Liebesman

Cast: Chaney Kley, Emma Caulfield, Lee Cormie

Genere: Horror

Durata: 85 minuti

Produzione: USA

Anno d'uscita:2003

Nome originale: Darkness falls

Trama: Centocinquant'anni fa, a Darkness Falls, Mathilda Dixon, una gentile vecchina nota anche come "la fatina dei denti caduti" perché donava regali ad ogni bimbo cui cadevano i primi dentini, viene ingiustamente accusata della sparizione di due bambini e brutalmente massacrata dalla folla. Il suo spirito, però, non smette di aleggiare sulla cittadina, e promette una vendetta che sarà perpetrata sui discendenti dei suoi giustizieri. Kyle ritiene di aver visto da bambino il fantasma della Dixon, la notte in cui fu uccisa misteriosamente sua madre: non sa ancora se sia stata un'allucinazione, ma da allora non riesce più a rimanere da solo al buio, anche se ha lasciato da tempo Darkness Falls. La sua fidanzatina di allora, Caitlin, gli chiede di ritornare, poiché il fratellino Michael è preda anch'egli di allucinazioni simili. Dopo qualche esitazione, Kyle accetta, e si rende conto che il fantasma di Mathilda Dixon gira davvero per Darkness Falls, e che lui dovrà affrontarlo. Nonostante una buona idea iniziale, ed una serie di effetti speciali che non insistono sul pulp preferendo giocare sull'angoscia montante, il film ben presto si sfilaccia e perde interesse; questo sia a causa di attori non in grado di comunicare la tensione, sia per l'evidente sottotraccia lovecraftiana, non supportata da una scrittura altrettanto efficace. La "maschera" orribile di Mathilda Dixon è opera di Stan Winston, Oscar per gli effetti visivi di Terminator 1 e 2.

Roberto Nepoti (La Repubblica)

Quando cade un dente da latte, lo si mette sotto il cuscino e si attende che la fatina dei denti lo baratti con un soldino. Pessima idea: perché chi arriva nottetempo è una stregaccia, di ritorno dal passato per vendicarsi di un antico torto. Lei, una volta era buona, viveva a Darkness Falls e regalava monete d'oro ai bambini; poi è stata accusata d'infanticidio e messa a morte. Da un po' a dieta di mostri mitici, il cinema orrorifico cerca di inventarsene di nuovi pescando ovunque gli capiti. Niente di nuovo al calar del sole, però: la solita cittadina americana, un mostro che imita malamente Freddy Krueger, una sceneggiatura piatta e una regia senza sorprese. Mentre gli attori s'illuminano a vicenda con lampade lanciando urla, l'unica paura autentica è che il sonoro ti sfondi i timpani.

Ed ora tocca a me: Abbastanza scontato come film, s'era già capito tutto sin dall'inizio. Niente di che.

Alla prossima... ;)

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Bari - Treviso 2-0

21 Ottobre 2006 - Bari-Treviso 2-0
San Nicola adesso è amico. Si è stancato di concedere ai forestieri. Ogni tanto dà la sua benedizione anche ai baresi, i quali da troppo tempo aspettano una squadra capace di entusiasmarli. La creatura di Maran non può essere paragonata a quelle del passato (ricordate, ad esempio, Protti e Tovalieri?) né (per ora) manda gli spettatori in brodo di giuggiole. Ma comincia a farsi piacere perché è capace e organizzata; perché sa reagire (dopo la sconfitta ingiusta di Cesena) e riparare i meccanismi che non funzionano; perché offre un bel gioco e migliora a vista d’occhio; perché promette di andare oltre i limiti, soprattutto ora che può far valere la legge del San Nicola. Dopo il Bologna, infatti, anche il Treviso lascia a Bari tre punti (finisce 2-0, reti di Santoruvo e Carrus su rigore) che proiettano i biancorossi al terzo posto del campionato insieme con il Rimini (solo il Cesena, con una partita in meno, potrebbe sopravanzarli).

LA PARTITA - Maran sceglie il sistema di gioco (convenzionalmente definito modulo, in modo da esprimere graficamente la posizione di partenza degli uomini in campo) ritenuto idoneo per battere il Treviso. Stavolta è un 4-4-2. I giocatori chiamati a interpretarlo (sempre che il tecnico valuti riescano a farlo, altrimenti è pagato per fare spostamenti o avvicendamenti) sono per la maggior parte quelli delle ultime uscite. Ci sono, però, tre novità: due in difesa, determinate da infortuni (Bellavista esterno di destra al posto di Milani e Esposito al centro in sostituzione di Gervasoni), e una in attacco per scelta tecnica (Ganci per Vantaggiato). Scaglia e Tabbiani, che partono in linea a centrocampo con Gazzi e Carrus, sono pronti a salire e crossare dal fondo. I veneti si presentano con la formazione annunciata. Non c’è Baseggio (preferito Guigou). È regolarmente al suo posto Russotto, uno dei talenti della squadra di Bortoluzzi. L’esterno sinistro degli ospiti si presenta subito, approfittando di un rinvio sbagliato di Bellavista (il capitano, ormai poco abituato a coprire il ruolo, non farà più errori). Cerca (2’) e trova l’azione personale che soltanto Gillet riesce a fermare. Poi, però, i pericoli arrivano quasi esclusivamente dalla parte di Avramov. Come assaggio, il Bari punge tre volte in tre minuti: al 10’ cross di Tabbiani e colpo di testa sopra la traversa di Scaglia; all’11’ pericoloso tiro-cross di Micolucci; al 12’ tocco in profondità di Ganci troppo lungo per Santoruvo. Proprio Ganci diventa decisivo, per la felicità del tecnico (che ha puntato su di lui). Se i palloni per Santoruvo non giungono da Carrus o dagli esterni, ci pensa uno dei sei ex in campo. Servito in area di rigore da Scaglia, Ganci ha l’opportunità di far male già al 15’. Ma, saltato in dribbling Viali, si lascia cadere (istintiva la ricerca del rigore) meritando l’ammonizione per simulazione che gli costerà la squalifica per la prossima gara (era diffidato: salterà Piacenza-Bari in programma sabato 28 alle ore 16). Al 20’, però, lo scambio sullo stretto con Santoruvo vale il vantaggio: destro del bitontino (al secondo gol stagionale) e 1-0. Per la parte restante del primo tempo il Bari mantiene il controllo della partita, ma si fa più prudente, cioè bada più a coprire gli spazi che ad attaccare, più a evitare l’inferiorità numerica in fase difensiva che a cercare la superiorità in fase offensiva. Il Treviso sa che Tabbiani e Scaglia sono comunque pronti a cambiare marcia, ma non ha alternative. Quindi, sia pure senza perdere equilibrio, va alla ricerca del pareggio. Ma oltre a un colpo di tacco di Vascak al 25’ (bello a vedersi e nient’altro) e a un tentativo di Russotto al 27’ (da quella parte c’è sempre Pianu pronto a intervenire in seconda battuta) produce ben poco. Durante l’intervallo si scaldano le riserve del Treviso. Beghetto e Fava, in effetti, sono in ombra. Merito della difesa del Bari, che non risente dei cambiamenti (Possanzini resta l’unico ad aver segnato al San Nicola). Il duello a distanza con la coppia barese è per il momento ampiamente perduto. Detto di Ganci, Santoruvo, che aveva espresso critiche a se stesso per la prova contro il Bologna, dove pure aveva segnato, fa esattamente quel che deve: il goleador. Un pizzico di egoismo può essere funzionale, soprattutto se c’è chi si sobbarca il lavoro di avvicinamento. Sia chiaro, non sono in discussione impegno e capacità di Santoruvo, ma soltanto un tasso tecnico insufficiente per garantire (da sottolineare: garantire) un numero di reti necessario per la serie A. Ovviamente, fino a prova contraria. La smentita (parziale: mancano troppe partite fino alla fine del campionato) potrebbe arrivare in apertura di ripresa, sempre con la collaborazione di Ganci, che cerca il compagno in due occasioni: nella prima viene segnalato il fuorigioco. Santoruvo (piace la grinta e il carattere che ci mette in campo per zittire la critica) potrebbe fare il bis anche al 50’ sugli sviluppi di un calcio d’angolo, ma il colpo di testa è fuori dallo specchio della porta. Finirebbe dentro, invece, il tiro al volo di Fava (servito da Beghetto), ma Gillet è sempre una sicurezza (anche se al 54’ sbaglia maldestramente un rinvio; è umano: ogni tanto può accadere). L’apprensione per il ritorno del Treviso svanisce al 56’. Da manuale l’azione che porta alla concessione di un calcio di rigore in favore del Bari e all’espulsione di Valdez per un fallo sull’ultimo uomo in presenza di una chiara occasione da rete. Ganci è ancora una volta protagonista, ma anche Santoruvo e Tabbiani vanno elogiati per i movimenti. Carrus, che avvia e trasforma il tiro dagli undici metri, dimostra di poter essere l’uomo in più. Quando il sardo riceve il pallone in prossimità dell’area, Santoruvo e Ganci sono bravissimi a portare fuori i difensori veneti. In più Ganci, servito da Carrus, è veloce nell’aprire a destra per Tabbiani. Il cross è immediato, Santoruvo e Carrus sono rapidi nel lasciarsi dietro i controllori. Il traversone è impreciso per l’accorrente Santoruvo, ma non per Carrus, che è alle spalle e viene spinto (anche se non in modo evidente) da Valdez. La trasformazione (57’) dagli undici metri vale il 2-0. Bortoluzzi sa che la gara è compromessa. Ridotto in dieci, il Treviso tenta di risollevarsi facendo tutto il possibile. Ovvio che debba correre dei rischi. Opta per la difesa a tre (entra Lorenzi al 68°). A centrocampo Moro rileva Gissi (64’). Tutto inutile (Giuliatto salva l’onore al 76’ con un tiro bloccato dal portiere barese). Il Bari non corre rischi dietro, conserva le chiavi del centrocampo (Gazzi continua a giganteggiare, Carrus prende sempre più confidenza) e dispone di spazi più ampi. Inoltre, Maran inserisce forze fresche: al 74’ mette Vantaggiato al posto di Santoruvo (applausi meritati) e al 77’ dà respiro a Scaglia (entra Mora, che ne rileva anche i compiti). L’ultimo cambio del Treviso arriva all’80’ (Acquafresca per Beghetto), mentre tra i biancorossi Di Vicino sostituisce Ganci (82’). Il Bari potrebbe infierire (soprattutto l’ultimo entrato ci tiene a segnare, sbaglia però clamorosamente al 92’). Ma è sufficiente aver battuto nettamente un avversario che qualche giorno fa ha tenuto testa alla Juventus…

BARI (4-4-2): Gillet, Bellavista, Esposito, Pianu, Micolucci, Tabbiani, Gazzi, Carrus, Scaglia (32’ st Mora), Ganci (37’ st Di Vicino), Santoruvo (29’ st Vantaggiato). (23 Aldegani, 8 Rajcic, 25 Cazzola, 20 Fusani). All.: Maran.

TREVISO (4-4-2): Avramov, Valdes, Cottafava, Viali, Giuliatto, Vascak, Gissi (19’ st Moro), Guigou, Russotto (13’ st Lorenzi), Beghetto (35’ st Acquafresca), Fava. (33 Montresor, 23 Mallus, 21 Quadrini, 19 Montasser). All.: Botoluzzi

Arbitro: Squillace di Catanzaro
Reti: nel pt, al 20’ Santoruvo; nel st, al 12’ Carrus (rigore)
Recupero: 1’ e 4’.
Ammoniti: Ganci per simulazione, Vascak per proteste, Pianu e Moro per gioco falloso, Mora per proteste, Di Vicino per gioco non regolamentare.
Espulso: Valdes all’11’ st per fallo da ultimo uomo.
Angoli: 4-3 per il Bari.
Spettatori: 6.933 di cui 2.793 paganti e 4.140 abbonati per un incasso complessivo di 47.142,00 euro (quota paganti 29.940, quota abbonati 17.202).


Io non predico il futuro nè mi permetto di dire che campionato sarà, però in ogni caso sono punti che possono risultarci utili anche per una possibile salvezza, con questa squadra meglio vivere alla giornata :)

Alla prossima... ;)

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lunedì 16 ottobre 2006

Rossi: "Ci ho sempre creduto"

Rossi: "Sono in testa al Mondiale, è merito della squadra. Hayden? Uno 0 su 17 gare poteva starci". Nicky: "Ho perso l'occasione della vita". Pedrosa: "Che errore, sto male dentro"






ESTORIL (Portogallo), 15 ottobre 2006 - "Ho visto Hayden fuori dopo la fine della gara. Me l'hanno comunicato e allora, quando sei là davanti, pensi a un sacco di cose. Pedrosa e Hayden è tutto l'anno che se la promettono, che si fanno entrate cattive, e ora si sono centrati. Noi, invece, dobbiamo restare concentrati. Comunque penso che +8 sia molto meglio di -12". Valentino Rossi la vede così. Dopo il secondo posto di Estoril che gli ha restituito la testa del Mondiale dopo una lunga rimonta il dottore è felice.
"Sono in testa al Mondiale - spiega dopo la gara - va bene così, va bene questo piazzamento. La vittoria sarebbe stata senz'altro importante l'abbiamo cercata con tutto il nostro impegno. Del resto ci sono GP che vanno così. Ero molto costante, ma non riuscivo a essere veloce come avrei voluto. Elias? Ho cercato di stare davanti, di spingere, ma non volevo fare delle cose troppo rischiose. Ho provato anche a resistere ai suoi attacchi, ma lui è uscito da dietro, più veloce, e non c'è stato nulla da fare".
Valentino non parla di Mondiale già vinto, ma è chiaro che il momento decisivo di oggi è stato liberatorio: "Quest'anno ho imparato molto come pilota e come persona: ad avere sfortuna, a essere dietro, a inseguire, a essere quasi perso per il mondiale, ma poi qualcosa è cambiato. Non è però solo merito mio, ma della squadra e di chi lavora con me. Ci abbiamo creduto sempre. Ho fatto 10 punti in 5 gare, e mi è successo di tutto, ho rotto il motore, le gomme, mi hanno buttato fuori, mi sono rotto il polso. Ripeto, ci stava che anche Hayden facesse uno zero in 17 gare...".
Lo stesso Nicky Hayden sa che quello che è successo oggi è pesantissimo per la sua carriera. "Ho perso l'occasione della vita per vincere il titolo - ha detto amarissimo - sono molto deluso perché la tattica di gara era chiara. Sapevo di essere più veloce di Colin Edwards che cercava di scappare via. Avevo programmato di passarlo proprio nel punto dove sono caduto. Avevo lavorato bene per tutto il weekend e le gomme funzionavano bene, ma proprio in quel momento Pedrosa mi ha tirato giù. Mi ha spiegato che era deluso, che in sei anni era la prima volta che gli succedeva. Valencia? Può succederedi tutto, ma a Valentino basterà starmi dietro e controllarmi e anche se vinco non servirà a niente".
E Daniel Pedrosa? Deluso e amareggiato anche lui. Sa di averla combinata grossa: "Sto male dentro - ha detto - ho commesso un errore grave, per me, per Hayden, per la Honda e per il team, penso di avere avuto anche un po' di sfortuna. In sei anni mai avevo toccato un altro pilota, neanche in prova. Oggi per me è stata la prima volta e con il mio compagno di squadra. Purtroppo è successo e non si può più fare nulla. Se aiuterò Hayden a Valencia? Speriamo si possa fare qualcosa per lui".


Io non parlo, sono già pronto a delirare per Valencia, aspetto riflessivo e speranzoso.

Alla prossima... ;)

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sabato 14 ottobre 2006

Insieme per Forza




















TItolo originale: The hard way
Nazione: Usa
Anno:1991
Genere:Commedia/poliziesco
Durata: 111'
Regia:John Badham
Cast: James Woods, Stephen Lang, Michael J. Fox

Trama: Ancora una volta una strana coppia. Ma la variante è piuttosto felice. Un divo cinematografico, arrogante e viziato (M.J. Fox), per meglio entrare nella parte di poliziotto, il ruolo che dovrà interpretare nel suo prossimo film, chiede ed ottiene di stare per una settimana accanto a uno sbirro autentico.

Ed ora tocca a me: E pensare che Michael Fox è in ogni dove, non gli si potrebbe fare una statua? Sempre più devozione nei suoi confronti. Un grande!

Alla prossima... ;)

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Cesena-Bari 1-0



La striscia positiva del Bari (11 punti in 5 gare) si ferma a Cesena. Papa Waigo, l’autore del gol decisivo, interrompe anche l’imbattibilità della difesa pugliese e, soprattutto, riporta squadra e città sulla terra dopo i voli di fantasia degli ultimi giorni. I biancorossi, che restano nella zona alta della classifica, hanno il pregio di aver costruito un bel gruppo e di essere riusciti ad assimilare gli schemi di Maran (a dimostrazione che questi ragazzi hanno intelligenza, carattere e qualità). La partita in Romagna, nonostante la sconfitta, evidenzia nuovamente che ci sono le potenzialità per poter recitare un ruolo da protagonisti. Ma non al punto da ambire alla promozione in serie A. L’infortunio di Gervasoni, sostituito da Esposito, è bastato per rendere perforabile la difesa. Inoltre, aver mantenuto il controllo dell’incontro non è servito per arrivare al successo. Il Bari, del resto, non realizza abbastanza su azione manovrata, tanto che buona parte delle reti fatte sono giunte sugli sviluppi di calci da fermo. Per poter aspirare davvero alla promozione servono almeno una prima punta da 15-20 gol e l’esperienza nei punti nevralgici, cioè al centro della difesa e del centrocampo. Altrimenti sarà bene seguire con simpatia la realizzazione di un progetto che garantisce la salvezza e che soltanto nelle prossime stagioni potrà restituire il palcoscenico della massima serie.LA PARTITA - Maran stavolta torna al 4-2-3-1. Rispetto alla gara di lunedì scorso, Fusani, che si era fatto trovare pronto nel secondo tempo contro il Bologna, rileva Tabbiani e si piazza accanto a Gazzi. La mossa riesce perché i due limitano assai Salvetti e Pagliuca, mentre la posizione di Carrus costringe Pestrin a rimanere molto basso. Insomma, i collegamenti tra i reparti della squadra di casa risultano difficoltosi. Quasi mai Papa Waigo, Virdis e Piccoli (gli ultimi due preferiti a Pellè e Lazzari, impegnati in settimana con l’Italia Under 21) sono messi in condizione di infilare in velocità la difesa del Bari. Inaridite le fonti del gioco romagnolo (ci pensano Vantaggiato e Scaglia a bloccare eventuali sortite degli esterni difensivi Sabato e Biserni) e messa la museruola agli attaccanti (compito che per altri è risultato tutt’altro che agevole: il Cesena, nonostante debba recuperare una partita contro la Triestina, è il terzo attacco più prolifico della serie B dopo la Juventus e il Genoa), i biancorossi per completare l’opera vanno alla ricerca della rete. A sostenerli ci sono circa un migliaio di tifosi, la cui speranza è che la squadra riesca a centrare il sesto risultato utile di fila, serie iniziata dopo la sconfitta di Crotone all’esordio. Nei primi venticinque minuti le aspirazioni sono confortate dalle avvisaglie. Santoruvo (per tre volte) e Vantaggiato impensieriscono la difesa cesenate, ma non abbastanza per poter parlare di occasioni da gol. Anche quando Santoruvo da posizione favorevole riesce a girarsi per la battuta, Lauro (sostituto dell’infortunato Ficagna) si oppone. Ma l’accerchiamento (leggi anche una serie di calci d’angolo) si fa più insistente. Al 28’ sempre Santoruvo si lamenta per una trattenuta in area di rigore (c’è un battibecco con Zaninelli), ma l’arbitro Giannoccaro lo calma con spiegazioni che non convincono l’attaccante bitontino. Il tecnico Castori, che ha appena rinnovato il contratto con il Cesena fino al 2010, è costretto a sostituire al 34’ Zaninelli per infortunio (i titolari sono ora entrambi fuori: la coppia dei difensori centrali è Vignati-Lauro). Ma le preoccupazioni sono altre. La formazione vista in avvio di stagione (briosa e a tratti spettacolare) stenta a ripresentarsi (i romagnoli vengono da due pareggi consecutivi). Salvetti decide di indietreggiare per dare un aiuto a Pestrin, Papa Waigo pensa di fare da solo: ricevuto il pallone prova a puntare Micolucci, a saltarlo e a mandare in area qualche pallone. In realtà, c’è poco profitto. La sterile pressione, che si intensifica nell’ultima parte del tempo, ha almeno il vantaggio di tenere il Bari lontano da Turci. Un imprevisto costringe Maran a toccare il reparto che gli ha finora dato più soddisfazioni. I biancorossi devono infatti rinunciare a uno dei centrali di difesa per un infortunio muscolare. Fuori causa Gervasoni, c’è un’altra occasione per Esposito, entrato al 44’. Interessante è verificare nella ripresa se la compattezza della retroguardia barese (non prende gol da oltre 400’) prescinde dalle individualità (aspetto che valorizzerebbe ancor più il lavoro fatto negli allenamenti). Da valutare anche il lato negativo della posizione di Carrus: blocca Pestrin, ma non è a suo agio come suggeritore. La risposta al secondo quesito sembra arrivare immediatamente. E’ proprio Carrus a battere al 47’ una punizione che Pianu devia per l’accorrente Santoruvo. L’attaccante, strattonato da Vignati, riesce comunque a toccare in mischia, ma Turci interviene con i piedi. Il centrocampista sardo fa quel che dovrebbe ripetere con continuità al 50’, allorché con una iniziativa personale si procura un calcio di punizione al limite dell’area. Vantaggiato calcia fuori dallo specchio della porta. In quanto al primo punto interrogativo, la presenza di Pellè, che Castori manda in campo al posto di Virdis (53’), dovrebbe essere, per la difesa modificata del Bari, un banco di prova ancor più probante. Un altro indizio arriva al 59’. Gazzi sradica il pallone agli avversari e dà la palla a Carrus. Cross per il colpo di testa di Vantaggiato, Turci blocca. Appare evidente che Maran abbia chiesto nell’intervallo alla squadra di far passare più spesso la manovra per i piedi del sardo, che al 65’ mette ancora Vantaggiato nelle condizioni di ottenere un calcio da fermo. Stavolta è Scaglia a tentare (invano) di sorprendere il portiere. Come dimostra la prima parte del secondo tempo, il Bari, che non sfonda, è comunque padrone della situazione. Né ci sono segnali di pericolo. Invece, Esposito sbaglia sulla trequarti al 69’ e consente a Piccoli di andarsene centralmente. Il Cesena è in superiorità numerica (tre contro due). L’attaccante serve il collega Papa Waigo: dribbling su Micolucci e sinistro a girare che batte Gillet. L’1-0, che sancisce anche la fine dell’imbattibilità del portiere dopo 440’, è un colpo duro da assorbire. Il Bari prova a reagire immettendo forze fresche. Prima entra Ganci per Fusani (73’), poi Tabbiani per Carrus (80’). Il modulo diventa un 4-3-3 con Gazzi davanti alla difesa e Tabbiani e Scaglia più avanzati. In attacco, Vantaggiato è la punta di sinistra, mentre a destra c’è Ganci. Proprio quest’ultimo prima (81’) disegna una parabola che sorprende Turci, ma il colpo di testa di Santoruvo termina fuori; poi (86’) si avventa su un traversone di Micolucci: l’incornata è debole, tanto che per il portiere bianconero è facile impossessarsi della palla. Con il Cesena che si difende (4-5-1 quando all’82’ De Feudis rileva Papa Waigo), il Bari non trova più sbocchi (e la stanchezza si fa sentire), nemmeno quando (90’) Pellè, di proprietà del Lecce, si fa espellere dal direttore di gara (di Lecce) per un tackle su Milani. Nei cinque minuti di recupero il forcing produce soltanto due corner.

CESENA (4-3-3): Turci, Biserni, Zaninelli (34’ pt Vignati), Lauro, Sabato, Pagliuca, Pestrin, Salvetti, Papa Waigo (36’ st De Feudis), Virdis (8’ st Pellè), Piccoli. (12 Sarti, 7 Lazzari, 13 Bova, 17 Bracaletti). All.: Castori.

BARI (4-2-3-1): Gillet, Milani, Pianu, Gervasoni (45’ pt Esposito), Micolucci, Fusani (28’ st Ganci), Gazzi, Carrus (35’ st Tabbiani), Scaglia, Vantaggiato, Santoruvo. (33 Aldegani, 7 Bellavista, 10 La Vista, 31 Mora). All.: Maran.

Arbitro: Giannoccaro di Lecce.

Reti: nel st 24’ Papa Waigo.

Recuperi: 2’ e 5’.Angoli: 6-5.Espulsi: Pellè al 45’ st per gioco falloso.

Ammoniti: Micolucci, Sabato e Vantaggiato per comportamento non regolamentare; Lauro, Esposito e Ganci per gioco falloso.

Spettatori: 7.800 circa.

Uffa, questa l'abbiamo persa però c'è da dire che stiamo prendendo pochissimi gol, continuiamo cosi :)

Alla prossima... ;)

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mercoledì 11 ottobre 2006

Blow



















Titolo originale: Blow
Nazione: Usa
Anno: 2001
Genere: Drammatico
Durata: 124'
Regia: Ted Demme
Sito ufficiale: www.getsomeblow.com
Cast: Johnny Depp, Penélope Cruz, Jordi Mollà, Franka Potente, Monet Mazur.
Produzione: Ted Demme, Denis Leary, Joel Stillerman
Distribuzione: Nexo

Trama: George Jung è figlio di un operaio spesso in lite con la moglie che ritiene guadagni troppo poco. Non appena diventa adulto riesce in poco tempo a diventare il punto di riferimento negli States degli anni Sessanta per il traffico della cocaina colombiana. L'ascesa resistibile di un giovane che riesce ad avere talmente tanti soldi da non sapere fisicamente dove metterli in casa che viene catturato due volte dall'FBI e la seconda volta è per una condanna a 60 anni. La storia è vera e Demme ha incontrato più volte il protagonista. Depp fa passare il suo personaggio dal senso di onnipotenza alla tristezza della solitudine senza mai calcare la mano. Penelope Cruz compare solo a metà film e non è che la sua presenza sia così essenziale tranne che per la scena madre in cui costituisce un grave pericolo per il coniuge.

Lietta Tornabuoni (La Stampa)
Il titolo usa il termine americano che indica l'effetto esplosivo della cocaina; la storia è tratta dall'autobiografia di George Jung che cominciò col vendere erba in California prima di lanciarsi nel commercio della cocaina e di finire condannato a una pena destinata a tenerlo dietro le sbarre sino al 2014. Anni Settanta fra Stati Uniti e Colombia. Johnny Depp, in una prova di grande bravura, interpreta un piccolo uomo non ambizioso né lussuoso. Penelope Cruz, tanto per cambiare. Ma il film, se si salva dall'isterismo moralizzatore dei registi hollywoodiani sulla droga, è molle, fiacco, flemmatico, senza etica né energia.

Ed ora tocca a me: Io non sono d'accordo con questa giornalista e dico invece che il film è a dir poco stupendo, m'è piaciuto molto,un grande Johnny Depp che ricopre a meraviglia il ruolo attribuitogli e per quanto duro eticamente la morale conclusiva dovrebbe tranquillamente sopraffare quella persa durante il film. Ad ogni modo davvero molto molto bello. Ammetto di aver odiato Penelope Cruz, ma chiarisco subito.....solo in questo film :D

Alla prossima... ;)

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martedì 10 ottobre 2006

Bari concreto, Bologna battuto


Nel posticipo della 6ª di B gli uomini di Maran vincono 2-0 grazie ai gol di Santoruvo e Ganci: ora sono secondi. I rossoblù recriminano per gli errori di Nervo





BARI, 9 ottobre 2006 - La differenza la fanno Santoruvo e Ganci da una parte e Nervo dall'altra. I primi due segnano, l'altro no. Così nel posticipo della sesta giornata di serie B il Bari batte il Bologna 2-0 e - in attesa dei recuperi - sale in seconda posizione alle spalle del Genoa insieme a Napoli, Mantova e Brescia. Bravi Santoruvo e Ganci che, in apertura e chiusura della ripresa decidono la partita. Ma le occasioni per gli uomini di Ulivieri ci sono state: peccato che siano capitate a Nervo che non era in giornata e le ha sprecate. Per i rossoblù (fermi a 7 lunghezze) urge una rapida ripresa.
LA PARTITA - Il Bari inizia con il 4-4-2 piazzando Vantaggiato in avanti insieme a Santoruvo, ma dopo 20 minuti passa al 4-2-3-1. Modulo, quest'ultimo, speculare a quello del Bologna, che recupera Meghni e lo piazza dietro a Bellucci mandando Zauli a sinistra con Nervo a destra. Il primo tempo è sonnolento per almeno metà dei suoi 45', poi si vivacizza dopo un'occasione per i padroni di casa con il colpo di testa di Scaglia che finisce fuori di poco. I rossoblù rispondono verso il finale grazie a un'occasionissima che vede Nervo solo davanti a Gillet, ma il tiro è centrale e il portiere manda in angolo con un gran riflesso.
Si ricomincia con le formazioni immutate e il Bari dopo 4' è in vantaggio: angolo di Scaglia da sinistra, Antonioli accenna all'uscita e poi rientra e Santoruvo di testa lo batte. Dopo due minuti Vantaggiato sfiora il raddoppio con un destro che il portiere del Bologna manda in angolo in tuffo. Gli ospiti potrebbero pareggiare già all'8', ma su un assist di Meghni ancora Nervo a porta vuota manda alto. Lo stesso Nervo manda fuori due colpi di testa da buona posizione. Intanto Ulivieri fa entrare Marazzina per Zauli e dispone i suoi a due punte.
Maran, da parte sua, risponde con una doppia sostituzione: Fusani per Tabbiani e Mora per Carrus. A loro, poco più tardi, si aggiunge Ganci che prende il posto di Santoruvo. Mentre il tentativo finale del Bologna passa attraverso Costa (che entra per l'infortunato Castellini, leggero trauma cranico e al collo per un colpo involontario di Ganci) e Filippini (per Mingazzini). Ma non c'è lucidità nell'ultimo assalto, che produce poco o niente. Mentre il Bari raddoppia al 45', grazie a una bella punizione di Ganci che aggira la barriera e fulmina Antonioli. E' il sigillo finale alla partita.

Che dire?Questo periodo sembra essere davvero d'oro, la squadra ha giocato decisamente meglio con il 4-4-2, è vero i gol sono nati solo su calcio piazzato ma il gioco c'è e i gol su azione verranno.Bologna a dir poco umiliato e grande Gillet come sempre, ora da 360 minuti senza gol!!!

Alla prossima... ;)

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lunedì 9 ottobre 2006

Le colline hanno gli occhi



















Titolo originale: The hills have eyes
Nazione: U.S.A.
Anno: 2006
Genere: Horror, Thriller
Durata: 107'
Regia: Alexandre Aja
Sito ufficiale: www2.foxsearchlight.com
Sito italiano: www.20thfox.it
Cast: Aaron Stanford, Vinessa Shaw, Kathleen Quinlan, Laura Ortiz, Michael Bailey Smith, Dan Byrd
Produzione: Craven-Maddalena Films
Distribuzione: 20th Century Fox
Data di uscita: 25 Agosto 2006 (cinema)


Trama: Nuova versione dell’omonimo film del 1977 di Wes Craven, è la storia di una famiglia il cui viaggio si trasforma in un incubo quando il gruppo giunge in una zona nuclearizzata. Lontani dal mondo, i Carter si rendono presto conto che l’area apparentemente disabitata è in realtà il territorio di una famiglia di mutanti assetati di sangue... e che loro sono la preda.

Maurizio Porro (Il Corriere della Sera)
La-radioattività-un brivido mi dà...», cantava Mina nel ' 63 sui titoli dell' Eclisse. La frase s' addice al curioso e attualizzato remake di un horror cult da 325.000 dollari, ' 77, di Craven. Che ora benedice il doppione di Aja scritto in regime di subconscio con Lavasseur (Alta tensione). In cui una devota famiglia americana piena di nevrosi si perde nel deserto ed è massacrata da un gruppo di mutanti cannibali, frutto di test atomici. Non a caso un «freak» è sgozzato dalla bandierina americana, non a caso vince il giovane progressista, chiamato Bukowski dal suocero repubblicano, e fino all' ultimo mantiene gli occhiali nonostante le orribili carneficine. Il film rantola con noi ma sbraca nel finale, e se non sempre il messaggio è così civile (tutti assassini), il parallelo delle famiglie induce in tentazione e la buona resa del cast, compresi due cani, fa il resto del nightmare. VOTO: 7+ .

Pier Maria Bocchi (Film TV)
Nell'omonimo e noto horror di Wes Craven del 1977 le colline soprattutto urlavano, oltre a spiare. E nella sua ruvidezza esasperata, il prodotto possedeva un'efficacia da panzer comunque un po' sopravvalutata. Il remake di Aja non inventa niente, purtroppo, adagiandosi sull'originale senza peraltro affiati postmoderni (verrebbe da dire per fortuna, però). Il nuovo Le colline hanno gli occhi aumenta lo spessore della tessitura politica, ma della famigliola americana che nel deserto finisce tra le grinfie di un'altra famiglia, ma assassina e cannibale e freak, il cinema ormai può fare a meno: perché il discorso è vecchio, perché il recupero della violenza seventies non basta da solo a rendere bello un film, perché - in ultimo - l'affondo chirurgico serve laddove il corpo sia ancora vivo e a nervi scoperti (lo ha ben capito Rob Zombie, che difatti ha popolato La casa del diavolo di carne morta e di fantasmi). L'unica idea buona, quella del villaggio per gli esperimenti nucleari, è sfruttata bene in termini scenografici, ma si annacqua in uno sguardo pedante e, alla lunga, perfino noioso. Ottimi trucchi gore di Nicotero & Berger, grande musica di Tomandandy, fotografia luminosa di Maxime Alexandre: ma il post-Alta tensione, più che brutto, è una delusione cocente.

Ed ora tocca a me:DEvo dire che m'è piaciuto tanto, naturalmente ho visto la "rivisitazione",ora sono alla ricerca dell'originale del '77 di Wes Craven. Comunque suspence a go-go, davvero vivibile in tensione.Bellissima per incoerenza la frase: "Lasciate in pace Doug: lui è un democratico…non crede nelle pistole!" Comunque consiglio.

Alla prossima... ;)

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domenica 8 ottobre 2006

Il motore tradisce Schumi

A Suzuka il tedesco della Ferrari si ritira a 17 giri dalla fine quando è in testa. Lo spagnolo della Renault, partito 5°, vince: a Interlagos gli basta un 8° posto. Massa 2°, Fisichella 3°




SUZUKA (Giappone), 8 ottobre 2006 - Non mi succedeva da 6 anni, perchè proprio oggi? Non si può perdere un Mondiale così. Devono essere stati questi i pensieri di Michael Schumacher, acclamato dalla folla dopo aver parcheggiato la sua Ferrari a 17 giri dal termine (e gli scaramentici faranno proseliti a questo punto) col motore privo di vita, lo stesso che in Cina gli aveva permesso di riagguantare Alonso nella classifica iridata. Il tedesco non accusava cedimenti al propulsore dal GP di Francia del 2000. Così sorride Fernando Alonso, autore comunque di una grande prestazione, che vince il GP del Giappone e, salvo cataclismi nell'ultima gara in Brasile, si aggiudicherà il secnodo Mondiale consecutivo. A Interlagos gli basterà un misero punticino per chiudere i conti, mentre per la Renault si avvicina anche il titolo costruttori, con la Casa francese ora a +9 sulla rossa. Alle spalle dello spagnolo Felipe Massa e Giancarlo Fisichella, comunque mai in gara per la vittoria. Giù dal podio vanno a punti Button (Honda), il futuro ferrarista Raikkonen (McLaren), Trulli (Toyota), Ralf Schumacher (Toyota) e Heidfeld (Bmw).
AL VIA - La partenza è quella sognata da milioni di ferraristi. Massa e Michael Schumacher alla prima curva sono davanti alla Toyota di Ralf e ad Alonso, che guadagna una posizione sull'altra Toyota di Jarno Trulli. Schumi al secondo giro supera il compagno di squadra e prova la fuga. Fisichella scivola indietro, a testimonianza di una Renault non proprio super, ma Alonso ha un buon ritmo di gara e nel corso del tredicesimo passaggio infila anche l'altra Toyota di Ralf Schumacher.
AI BOX - Massa e Alonso effettuano la prima sosta ai box e lo spagnolo completa la sua piccola rimonta rientrando davanti a Massa, rallentato dalla Bmw di Heidfeld, in seconda posizione. Il suo distacco da Michael Schumacher, che rifornisce senza problemi, si stabilizza sui cinque secondi.
COLPO DI SCENA - La gara sembra quasi addormentarsi, con posizioni consolidate e i due grandi rivali che girano sugli stessi tempi. Ma a 17 giri dal termine il motore di Schumi va k.o. Le immagini non sono chiare, ma il problema sembra riguardare la bancata di destra. Alonso prende il comando e vola verso il Mondiale, con Massa e Fisichella che sono troppo lontani per cercare di modificare la storia della gara, una delle più amare di sempre per chi ha il Cavallino nel cuore.

Uffa...che sfiga...poteva andare diversamente, però oggi è toccato a Schumi, perchè non tirare i piedi anche ad Alonso la prossima volta. Chi vivrà vedrà...

Alla prossima... ;)

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domenica 1 ottobre 2006

Cina: Schumi aggancia Alonso!


Il pilota Ferrari vince a Shanghai con lo spagnolo della Renault secondo: ora sono in testa al Mondiale a pari punti. Terzo Fisichella, Massa ritirato





SHANGHAI (Cina), 1 ottobre 2006 - Pareggio! Michael Schumacher ha vinto con la sue Ferrari il GP di Cina e ha agganciato in testa al Mondiale il suo rivale Fernando Alonso, secondo con la Renault dopo una gara movimentatissima. Mentre terzo ha finito Giancarlo Fisichella con l'altra Renault. Una questione di gomme. Quelle intermedie che prima hanno aiutato lo spagnolo e poi hanno reso felice Schumi. E così le Bridgestone, tanto bistrattate dopo le qualifiche (Michael 6° con l'asfalto bagnato e Renault in prima fila) si sono prese la rivincita trascinando la rossa e il tedesco a un successo importantissimo in chiave iridata, con il GP Giappone domenica prossima e quello del Brasile il 24 ottobre ancora da disputare. Alle spalle dei primi tre hanno chiuso a punti Jenson Button (Honda), Pedro De la Rosa (McLaren), Rubens Barrichello (Honda), Nick Heidfeld (Bmw) e Mark Webber (Williams). Mentre Felipe Massa si è ritirato dopo un contatto con Coulthard.
La cronaca, con il via su tracciato bagnato per la pioggia caduta fino a un'ora prima della corsa. Regolare la partenza con Alonso e Fisichella in testa già dalla prima curva, mentre dietro Raikkonen infilava le due Honda e Schumi restava tranquillo in sesta posizione. Dopo 13 giri il tedesco aveva passato Barrichello e Button salendo in quarta piazza con Raikkonen che, proprio per le diverse condizioni del circuito, scavalcava Fisichella mettendosi a caccia di Alonso.
Dopo 15 giri Button entrava per rifornimento e cambio gomme, seguito nella tornata seguente da Raikkonen e Barrichello mentre Alonso era autore di un lungo che gli faceva perdere 3" circa. Con la pista che si andava asciugando sempre più la gara perdeva Raikkonen, ritirato per un guasto sulla sua McLaren dopo 18 giri. Al 21° sosta per Schumi che mantiene le gomme intermedie, così come fa Alonso una tornata più tardi. Il primo a montare pneumatici da asciutto era Kubica ma, dopo tre lunghi, era costretto e rientrare subito ai box e rimettere le intermedie.
A metà gara si decide il GP: Alonso inizia a girare lentissimo, per problemi di gomme, e viene passato prima dal compagno Fisichella e poi da Schumacher. Fernando anticipa la sua sosta ma ci vogliono ben 19" per problemi con la ruota posteriore destra. A 16 tornate dal termine tocca a Schumacher e il giro dopo a Fisichella (al comando) che, appena uscito dai box, viene infilato dal tedesco velocissimo perchè con gomme da asciutto già in temperatura. Schumi scappa e non viene più avvicinato da nessuno mentre dietro Alonso è rapidissimo, passa il suo compagno ma può solo chiudere secondo. Si riparte in perfetta parità. Ci sarà da divertirsi.


Questa vittoria la dedicherei a tutte le persone che lo definivano spacciato, ed invece eccolo lì a 2 Gran Premi dal termine appaiato in vetta alla classifica con lo "spagnolo".
Ride bene chi ride ultimo.

Alla prossima... ;)

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